Visita di whatsalp a Chiavenna – contributo di Gabriela Jacomella

Una camminata di pochi chilometri, che però ha saputo attraversare i decenni e le generazioni. Un percorso a piedi per non dimenticare, per riflettere sul presente, per capire come guardare al futuro. Questo e molto altro ha rappresentato l’esperienza condivisa lo scorso 26 luglio, in cammino da Castasegna (Grigioni) a Prosto di Piuro (Sondrio), per finire con una serata di incontro e dibattito a Chiavenna.
Il tema prescelto, innanzitutto, rappresentava di per sé una sfida: quella di collegare la riflessione sulle regioni alpine tra oggi e domani alla realtà vissuta da tutta l’Europa nel contesto delle esperienze e dei flussi migratori che la interessano e la attraversano. Il confine, dunque, sospeso tra il concetto di barriera e quello di membrana permeabile, tra separazione e punto di contatto. Una duplice veste che diventa concreta nel racconto di chi ha scelto (o è stato obbligato a scegliere) di lasciare il proprio Paese attraversando molteplici confini – di terra o d’acqua – alla ricerca di un futuro migliore. E questo è anche, oggi, il ruolo giocato dal confine italo-svizzero: una linea sulle mappe, molto lontana dalla barriera – per quanto attraversabile – che rappresentava in tempi di maggiori controlli doganali, eppure ancora determinante (tra respingimenti, rimpatri e cattiva accoglienza) e a volte tragica per chi prova ad attraversarla senza documenti né certezze.
Che gli uomini (e le donne, e i bambini) possano trovarsi in condizioni tali da far considerare la fuga come l’unica via di salvezza non è una novità storica, ed anzi nel nostro recente passato se ne trova la testimonianza più drammatica: la tragedia delle persecuzioni nazifasciste. E in questo racconto della memoria il confine, ancora una volta, gioca un ruolo fondamentale. Il suo superamento è stato per molti l’ultimo obiettivo, la ricerca di una nuova vita, l’unica possibilità di sopravvivenza.
Di tutto questo abbiamo voluto parlare – con un gruppo davvero transnazionale, dall’Austria alla Svizzera all’Italia – nel corso della nostra giornata. La camminata si è svolta lungo la Val Bregaglia italiana, con oltre trenta partecipanti convenuti a Castasegna da entrambi i lati del confine. Una passeggiata lungo la pista ciclabile e i sentieri del fondovalle, con momenti di riflessione e di informazione sul presente e sul passato di queste zone, dalla cultura all’economia, dalla storia alla tradizione. Si è parlato di agricoltura che rinasce, di possibilità turistiche, di scambi di conoscenza, di buone (e cattive) pratiche. Ma soprattutto, abbiamo ascoltato dalla voce di due testimoni d’eccezione – Franco Isman, triestino, classe ’33, e il giovane Batis Sanyang, arrivato fin qui dal Gambia – che cosa significhi trasformare il confine in membrana permeabile e, dunque, in speranza.
Abbiamo fatto due tappe, nel piccolo nucleo di Giavera (frazione di Villa di Chiavenna) e alla Chiesa di San Martino in Aurogo, a Santa Croce di Piuro. La prima tappa era più strettamente collegata al confine, meta in realtà mai raggiunta dal piccolo Franco, in fuga dalle persecuzioni nazifasciste che colpirono la comunità ebraica italiana: la salvezza, nel suo caso, arrivò grazie all’incontro con Don Luigi Re, fondatore della Casa Alpina di Motta (sopra Chiavenna) dove trovarono rifugio, in quegli anni, molti ebrei e oppositori del regime di Salò. Insieme a Franco abbiamo ascoltato le riflessioni di Marina Morpurgo, giornalista e scrittrice, che sta raccogliendo le memorie e ricostruendo la storia della sua famiglia, anch’essa di origine ebraica, fuggita attraverso confini non lontani da qui, verso Lugano e altri angoli della Svizzera.
La seconda tappa, invece, era simbolicamente legata all’acqua – e non a caso la scelta è caduta su una tra le chiese più belle della Valchiavenna, appoggiata tra i massi sull orlo del fiume Mera. L’acqua come possibilità e nutrimento, ma anche come nemico, confine fluido ma ugualmente difficile da valicare, così come ci è stato raccontato da Batis Sanyang, che ha ripercorso con emozione e fatica le varie tappe della sua fuga dal Paese d’origine, dove il suo attivismo politico rischiava di trasformarlo in un “desaparecido”. Il Mediterraneo, dunque, come “grande fiume” che separa l’Africa dall’Europa, il pericolo dalla salvezza. E Chiavenna, che ha accolto Batis e altri rifugiati e richiedenti asilo come lui, come luogo di confine che si trasforma in nuova casa e nuova patria.
Ne abbiamo parlato ancora, insieme anche all’esperto di antropologia culturale e migrazioni Luca Ciabarri, nella serata alla Società Democratica Operaja di Chiavenna. Una sala pienissima – oltre 70 persone – per discutere di un futuro delle Alpi che passa attraverso l’accoglienza, la condivisione, la solidarietà. Un’esperienza per noi interessantissima e stimolante, che ci ha consentito di allargare lo sguardo dal nostro piccolo angolo di mondo a quello che accade oltre confine, nel resto del pianeta, e negli angoli della nostra storia – mai dimenticati, mai da dimenticare, sempre da tenere presente come monito per il presente e il futuro.